Il Bürgermeister Müller Museum di Solnhofen e il Progetto CARLOS
di Nando Musmarra
Il viaggiatore che attraversa la Baviera percorrendo l'autostrada, rischia di farlo troppo in fretta, perdendo l'occasione di visitare uno dei luoghi più incantevoli della Germania: la valle del fiume Altmühl. Circa 150 milioni di anni fa, al posto delle romantiche cittadine e le eccellenti birrerie immerse tra le colline, si trovava un arcipelago formato da piccole isole e una laguna salmastra, collegata in modo sporadico con l'oceano di Tetide, da cui era isolata da barriere coralline e da una piattaforma marina poco profonda (Vindelicisch Islands).
Le condizioni di vita degli organismi che vivevano in questa enorme laguna erano proibitive: le acque erano salmastre, l'ossigenazione scarsa e le correnti assenti. Se da una parte questi ambienti anossici erano inospitali e poco adatti alla vita, dall'altra diventarono paradossalmente ideali... per la morte, nel senso che offrirono le condizioni necessarie per la sedimentazione e per la fossilizzazione degli organismi che vi morirono. Insomma, questi ambienti avrebbero costituito, col passare del tempo, il giacimento perfetto in cui ogni appassionato di paleontologia spera di imbattersi.
Gli strati sedimentari in questione sono quelli del calcare di Solnhofen (Plattenkalk), una formazione a grana finissima, che rappresenta uno dei più famosi "Konservat-Lagerstätten", cioè un giacimento di conservazione in cui prevalgono eccezionali esemplari fossili con una buona preservazione dei tessuti molli.
La maggior parte dei fossili ritrovati a Solnhofen appartengono ad esseri che non vivevano nella laguna salmastra, ma abitavano gli isolotti, la vicina barriera corallina ed il Mare di Tetide. Probabilmente vennero violentemente trasportati nella laguna da grandi tempeste, insieme ai sedimenti fangosi che, ricoprendoli, li hanno protetti fino ad oggi, conservando una fauna eccezionale per diversità e qualità di conservazione.
L'alternarsi degli strati orizzontali dei giacimenti di Solnhofen costituiscono una caratteristica successione stratigrafica di color giallognolo, in cui quotidianamente si scava per l'estrazione di pietre per l'edilizia. Gran parte del lavoro di scavo e di selezione del materiale viene eseguita ancora a mano, sia per non rovinare le pietre, sia per non perdere l'opportunità di controllare, lastra dopo lastra, se vi sia rimasta intrappolata qualche creatura del tardo Giurassico (Kimmeridgiano/Titoniano).
Elencare in questa pagina la varietà degli organismi mesozoici ritrovati a Solnhofen è praticamente impossibile, tanti sono i generi, alcuni dei quali hanno fatto la storia della paleontologia. Partendo dagli invertebrati, personalmente sono affascinato dagli echinodermi come le Saccocoma e le Pterocoma, crinoidi estinti, che nuotavano nelle acque e, al contrario degli altri crinoidi, non si aggrappavano mediante i peduncoli ai fondali marini; le bellissime e rare stelle marine Riedaster, Archasteropecten, Lithaster, Pentasteria, Terminaster e le più comuni, almeno in determinate cave, ofiuroidi (Geocoma, Ophiopetra, Sinosura); come non ricordare i bellissimi echinoidi, spesso completi di aculei: Hemicidaris, Pedina, Phymopedina, Phymosoma, Plegiocidaris, Polydiadema, Pseudodiadema, Rhabdocidaris, Tetragramma e Pygurus (quest'ultimo è, al momento, l'unico genere di echinoide irregolare segnalato nel Plattenkalk di Solnhofen).
I crostacei sono ben rappresentati: limuli (Mesolimulus), cirripedi, molte le specie di gamberi, aragoste, astici e scampi (Cycleryon, Eryma, Eryon, Knebelia, Magila, Mecochirus, Palaeastacus, Palinurina, Phlyctosoma e Stenochirus)... meglio di un mercato natalizio del pesce; le dettagliatissime forme larvali di crostacei sono poi una vera prelibatezza fossile (Phalangites, Palpites e Phyllosoma). I cefalopodi (belemniti, nautiloidi ed ammoniti, molti dei quali completi di aptici) sono presenti in abbondanza.
Anche la malacofauna si era ritagliata il proprio spazio, con gasteropodi e bivalvi; molto belli i brachiopodi (Loboidothyris, Terebratula, Lacunosella e Rhynchonella) che, schiacciati nel Plattenkalk sembrano evidenziare ancor più le loro strutture asimmetriche, ma sono le meduse (Cannostomites, Epiphyllina, Eulithota, Leptobrachites, Quadrimedusina e soprattutto le fantastiche Rhizostomites) e le idromeduse (Acalepha, Acraspedites, Hydrocraspedota e Medusites), che, per me, sono la quintessenza del miracolo della fossilizzazione: è incredibile che organismi composti quasi esclusivamente d'acqua siano giunti fino a noi dopo 150 milioni di anni. Spugne, brizoi e strani coralli ottogonali fiorescenti (ottocoralli) completano il quadro degli invertebrati marini più rappresentativi della fauna di Solnhofen.
Wolfang Mages e la sua fantastica lastra con 4 Rhizostomites
I pesci abbondano per diversità e bellezza. Iniziando dai cartilaginei, nelle faune di Solnhofen sono presenti eccezionali squali e razze, con Eonotidanodus, Heterodontus, Hybodus, Ischyodus, Macrourogaleus, Orectolobus, Paleocarcharias, Paleoscyllium, Paracestracion, Phorcynis, l'enigmatico Protospinax, Aellopos (Spathobatis), Asterodermus e Pseudorhina.
Da segnalare anche la presenza delle chimere, con la Chimaeropsis (ancora ascrivibile ai pesci cartilaginei) e di celacanti come i Coccoderma.
Gli strati fossiliferi di Solnhofen hanno fornito musei e collezioni private di moltissimi generi di pesci ossei, alcuni dei quali di dimensioni gigantesche. Molti esemplari sono straordinari per la qualità dei dettagli ed ancora più interessanti per le pose "plastiche" che questi pesci hanno assunto alla loro morte. Di tutti quelli che ho visto, sono rimasto particolarmente colpito da Aspidorhynchus, Belonostomus, Eomesodon, Gyrodus (alcuni dei quali raggiungono quasi il metro di lunghezza), Gyronchus, Lepidotes.
Rari rettili marini, come plesiosauri e ittiosauri, tartarughe (per la maggioranza Eurysternum), coccodrilli (Aeolodon, Alligatorellus, Alligatorium, Atoposaurus, Dakosaurus, Geosaurus, Steneosaurus, completano il quadro delle faune vertebrate che popolavano le acque del sistema marino-lagunare dell'arcipelago di Sohlnofen.
Impossibile non segnalare le tracce che gli organismi lasciavano sui fondali della laguna, complice l'assenza di correnti profonde: abbondanti coproliti, tracce di vermi, camminate di ammoniti, di limuli, gamberi ed altri crostacei, spesso si ritrovano fossilizzate insieme all'essere che le aveva lasciate, come un istantanea degli ultimi istanti di vita degli sfortunati animali.
Non mancano le alghe fossili.
I ritrovamenti di piante fossili (soprattutto conifere, meno frequenti le cicadacee), insieme ad animali che vivevano sulla terraferma, testimoniano la vicinanza di terre emerse, sulle quali insieme ad insetti di ogni specie, convivevano sfenodonti (Homoeosaurus, Kallimodon, Piocormus, Pleurosaurus, lucertole (Eichstaettisaurus, Palaeolacerta) e dinosauri di piccola taglia come il Compsognathus (del quale l'olotipo è stato ritrovato proprio a Solnhofen) oppure i recentissimi Juravenator e Xaveropterus, due tra i teropodi in migliore stato di conservazione mai ritrovati.
Tra gli esseri che abitavano le terre emerse nei dintorni di Solnhofen, c'erano anche dei piccoli dinosauri, della grandezza di un pollo, che probabilmente non si accontentavano della dieta alla quale erano limitati restando con le zampe per terra e, mediante lo sviluppo di piccole ali, tentarono di vincere la forza di gravità.
Sarebbero diventati uccelli, ma ancora non lo sapevano.
Con goffi voli si diedero un gran da fare per raggiungere nell'aria libellule, mosche e cicale e condividere i cieli con altri esseri alati più grandi, come gli pterosauri (Anurognathus, Ctenochasma, Germanodactylus, Gnathosaurus, Pterodactylus, Rhamphorhynchus, Scaphognathus)... ma non ci riuscirono: le ali erano troppo piccole e probabilmente, più che volare verso l'alto, gli Archaeopteryx si aiutavano con le ali per migliorare la propria corsa ed allungare i salti.
Questi protouccelli (di cui quest'anno ricorre in centocinquantenario del primo ritrovamento), che coniugavano caratteristiche proprie degli uccelli, come le piume, e dei rettili, come la morfologia della dentizione e gli arti superiori (diventati ali) muniti di artigli, hanno reso famose le lastre di Solnhofen in tutto il mondo.
IL MUSEO DI SOLNHOFEN
Al Museo Bürgermeister-Müller di Solnhofen hanno coronato entrambi i sogni: l'esemplare n.6, che da molti anni alloggiava solo soletto nella sala centrale del Museo (anche se per motivi di studio talvolta l'esemplare originale viene ritirato e sostituito con un calco), ha finalmente un compagno, l'esemplare N.9, detto "Chicken Wing", ritrovato nel 2004 nella cava di proprietà Ottman & Steil; così, al momento, il Museo di Solnhofen è il solo al mondo a poter vantare ben due Archaeopteryx sotto lo stesso tetto (sebbene, in un futuro molto prossimo, anche il Museo di Monaco potrà fregiarsi di queso primato, poichè molto probabilmente l'Archaeopteryx N.11 coabiterà con l'esemplare N.7), gli altri si trovano tra Londra, Berlino, Haarlem, Monaco, Eichstätt, Solnhofen, Thermopolis (Usa), l'esemplare N.8 (Daiting) in una collezione privata. Solo l'esemplare N. 3, conosciuto come "Maxberg specimen" è, al momento, fuori dalla circolazione, ma la comunità degli appassionati di paleontologia tedeschi non dispera, un giorno, di poterlo riabbracciare (stando attenti a non ferirsi con le ali artigliate, beninteso!).
Il corridoio di ingresso del Bürgermeister Müller Museum di Solnhofen, tutto dedicato a piccoli rettili che mostrano la ricrescita della coda, è solo il preludio alla prima sala, dove i due esemplari di Archaeopteryx, il n.6 ed il N. 9. campeggiano tra pterodattili fossilizzati in tutte le posizioni.
Molto interessante un magnifico esemplare di pterodattilo proveniente dalla cava di Langenaltheim il cui cranio mostra parti di tessuto molle. Per adesso l'esemplare, molto simile ad un Pterodactylus antiquus, differisce da quest'ultimo per la proporzione tibio/femorale, ed è stato prudentemente catalogato come Peterodactylus sp.
Preparato con maestria alla luce ultravioletta, il prezioso fossile è il primo esemplare di pterodattilo che mostra con certezza che questi splendidi rettili volanti possedevano il becco di cheratina.
La terza sala è un vero e proprio acquario con i condritti, tra cui sono da segnalare notevoli esemplari di squali e razze: Paleocarcharias, Phorcynis, Heterodontus, Orectolobus, Pseudorhina e Squatina.
Passando accanto ad una grande lastra con ben 4 fantastiche Rhizostomites, si accede alla prima delle salette degli invertebrati, che sembrano messe lì, un po' in disparte, quasi a proteggere i veri tesori di questo museo dal passaggio di chiassose scolaresche: questa è la parte del museo che mi ha colpito di più: meduse, idromeduse, crinoidi, ricci di mare, stelle marine fanno d'avanguardia ad altre salette con crostacei di ogni specie, tutti esemplari esteticamente e scientificamente di valore. Seguono gli insetti, le tracce lasciate sul fondo marino da limuli, gamberi, aragoste e quelle lasciate dai pesci sotto forma di coproliti, sia intrecciate chedi forma ovaloide, tra le quali una presenta in bella mostra degli aculei, testimonianza del probabile pranzetto di uno squalo buongustaio che preferiva i ricci di mare agli altri pesci.
Un'altra saletta è tutta dedicata ai pesci. Magnifici esemplari di Aspidorhynchus, enormi Gyrodus sono quasi sempre sdoppiati, con l'esposizione sia del positivo che del negativo. Attraverso un altro corridoio, adornato con pescioni che non hanno trovato posto nella sala precedente, si accede alle vetrine con i Crossopterygii (Coccoderma, Holophagus, Libys, Macropoma) e finalmente alla scalinata che porta al grande e luminoso piano superiore, fino a qualche tempo fa quasi interamente dedicato alla storia della litografia.
LA LITOGRAFIA
L'estrazione delle pietre di Solnhofen va avanti da molti secoli. Gli strati più spessi e resistenti sono da sempre impiegati in edilizia come pietra per pavimentazione o addirittura come pietra portante, mentre le lastre più sottili, che si adoperavano in tempi passati come copertura dei tetti, hanno trovato una seconda giovinezza come pietra ornamentale per la presenza delle apprezzate inclusioni di dentriti di ossido di manganese.
Il calcare di Solnhofen fu nobilitato nel 1798 da Alois Senefelder, che inventò la tecnica della litografia levigando i compatti ed omogenei blocchi di Solnhofen usandoli come supporto per disegnarci con un pastello a pasta grassa. La pietra litografica veniva poi inchiostrata ed opportunamente inumidita. Dopo il passaggio al torchio, sui fogli di carta restavano impressi solo i segni delle parti disegnate con il pastello grasso, su cui si depositava l'inchiostro. La stampa avveniva in maniera speculare rispetto al disegno e una sola matrice era sufficiente a stampare un numero illimitato di copie. Chissà se l'idea della stampa litografica venne al signor Senefelder vedendo qualche lastra con i fossili appiattiti di Solnhofen...
IL PROGETTO CARLOS E L'EVOLUZIONE DEL MAR MEDITERRANEO
Il Museo di Solnhofen è nato circa 40 anni fa per iniziativa dell'allora sindaco Müller, appassionato di paleontologia, che favorì la costruzione del Museo per alloggiarvi la sua magnifica collezione di fossili, tutti ritrovati nella zona. Gli abitanti di Solnhofen (Solnhofeniani?) sono ancora oggi fieri del fatto che il loro museo sia dedicato esclusivamente alla paleontologia e alle attività estrattive locali.
Eppure durante gli anni, al museo sta crescendo una collezione dedicata alle conchiglie plio-pleistoceniche del Mediterraneo, del Mar Rosso e della Florida, che si estende sempre più su tutto il secondo piano del museo.
Questa esposizione è il frutto dall'amore che il direttore ed i volontari del Museo di Solnhofen nutrono per il Belpaese e per il Mar Mediterraneo, e si è materializzata nel "Progetto CARLOS". L'iniziativa ha in programma di aprire nel museo tedesco un centro permanente di documentazione sugli studi dei molluschi mediterranei fossili e moderni e sulle varie vicende geologiche e climatiche vissute dal Mar Mediterraneo nelle ultime decine di milioni di anni.
L'Archaeopteryx è tra noi - Cortesia Wolfgang Mages ©
Il gruppo che ha ideato ed organizzato il "Progetto CARLOS", è composto da professionisti e da appassionati di paleontologia e malacologia italiani e tedeschi. Il responsabile scientifico del progetto, è il Dr. Martin Röper, direttore del Museo di Solnhofen.
Immagine cortesia Wolfgang Mages ©
Durante l'inizio del 2011 è stata presentata al pubblico la prima fase del progetto, ovvero la Mostra di Malacologia Fossile con l'esposizione delle conchiglie vissute nel Mediterraneo negli untimi 5 milioni di anni. La mostraha messo in relazione le faune mediterranee con quelle della Caloosahatchee formation della Florida e le malacofaune pleistoceniche egiziane.
Immagine cortesia Wolfgang Mages ©
Il fine del "Progetto CARLOS" è rappresentare attraverso l'esposizione delle faune malacologiche fossili, l'evoluzione del Mar Mediterraneo dalla fine del Cretaceo ad oggi, iniziando dalla chiusura verso oriente del grande Oceano di Tetide, di cui il Mediterraneo faceva parte. La collisione dell'India e della piattaforma africana contro la placca euroasiatica ebbe come conseguenze, oltre che la nascita delle catene montuose delle Alpi e dell'Himalaya, anche la separazione dell'Oceano di Tetide da quello Indiano, dividendo di fatto in due la popolazione faunistica, con la conseguenza che il grande golfo di Tetide restò ancora popolato da organismi tipici di ambienti tropicali con capacità di costruire barriere coralline.
Sul fronte occidentale, ci fu l'interruzione dei collegamenti con il Nord Atlantico.
Il grande bacino di acque, intrappolato tra Europa ed Africa, era diviso in due grandi zone: a Nord-Est c'era il Paratethis o Mare Sarmatico, costituito oggi dal Mar Caspio, dal Lago di Aral e dal Mar Nero, e più a sud-est, dalla regione del Mar Mediterraneo con i confini più o meno simili a quelli attuali.
Immagine cortesia Wolfgang Mages ©
Di fatto il Mediterraneo, rimanendo isolato dagli altri mari per più di dieci milioni di anni, divenne molto simile ad un grande lago salato, con una fauna che, già in crisi che perché composta sempre dagli stessi organismi, subì un'ulteriore colpo di grazia per la cosiddetta crisi di salinità, con acque diventate troppo salate per l'eccessiva evaporazione dovuta a temperature medie elevate, ricambio inesistente e apporti di acque fluviali ridotti ai minimi termini.
In condizioni normali, un mare isolato, seppur grande come il Mediterraneo avrebbe avuto il destino segnato, un pò come sta succedendo oggi al bacino eusinico del Mar Nero (la parola eusinico nasce proprio dal nome latino del Mar Nero, Pontus Euxinus, ed in geologia indica condizioni di acque con poca ossigenazione e poco ricambio), che, secondo i geologi, ha un futuro ancor più scuro del suo nome.
Immagini cortesia Wolfgang Mages ©
Ma, come l'araba fenice, il Mediterraneo riuscì a rigenerarsi, complici le vicende geologiche e climatiche succedutesi in Europa durante il Plio-Pleistocene, come la riapertura dello Stretto di Gibilterra (con la penetrazione di nuove faune dal Nord Atlantico), una forte attività tettonica, fenomeni vulcanici importanti (con la nascita di nuovi arcipelaghi) e soprattutto un raffreddamento generale delle temperature, che, iniziato nel Pliocene Inferiore (Zancleano), continuò fino alle glaciazioni del Pleistocene, interrotto solo dal periodo relativamente caldo verificatosi durante il Pliocene Superiore, Piacenziano. In seguito a queste vicende le acque del Mediterraneo ricevettero un nuovo apporto idrico di entità tale da permettere il ripopolamento da parte di nuove faune e, finalmente, l'instaurarsi di condizioni biologiche ed ambientali migliori e più stabili che garantirono l'ossigenazione necessaria affinchè le nuove faune sopravvivessero.
I drenaggi degli immensi ghiacciai che si sciolsero durante i periodi interglaciali e la ancor più recente immigrazione di nuove faune dal Mar Rosso dovuta all'apertura del Canale di Suez, completano questa breve panoramica del Mare Nostrum, il grande specchio d'acqua compreso tra le Colonne d'Ercole e lo "stretto" sistema Dardanelli/Bosforo, che è riuscito a resistere fino ad oggi, e... catastrofisti permettendo, riuscirà probabilmente a soravvivere fin quando la placca africana, continuando a premere conto l'Europa, non lo farà scomparire del tutto.
Isola di Creta: la forza della natura nel Mediterrano
Si ringrazia Wolfgang Mages per le fotografie