MARI SENZA FRONTIERE

Il Triassico Medio tra Besano e Monte San Giorgio

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di Diana Fattori

foto di Sergio Pezzoli e Nando Musmarra

illustrato da Loana Riboli

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Museo paleontologico di Meride

Quando ero bambina una delle mie materie scolastiche preferite era la geografia. A quel tempo non sapevo nulla nè di spartiacque né di guerre, e mi chiedevo sempre in che modo si determinassero i confini politici dei singoli stati: come si faceva a stabilire dove finiva una nazione e ne cominciava un'altra? Queste domande, per me di non facile risposta, non assillavano sicuramente gli abitanti del luogo e del periodo geologico che sto per raccontarvi: il Triassico medio, un arco di tempo che va da 240 a 230 milioni di anni fa, quando esisteva una sola "nazione", composta dalla fusione di tutti gli attuali continenti: Pangea.
Questo supercontinente, che si era formato dalla fusione della Laurasia, a nord, e di Gondwana, a sud, era concentrato tutto su una parte del pianeta e circondato dall'oceano di Pantalassa. Tra le regioni nord e sud di Pangea c'era il vasto golfo del mare di Tetide. Questo corpo d'acqua ebbe effetti modificanti sulla geografia e il clima delle masse terrestri. E' stato supposto che le correnti oceaniche di Tetide fossero in senso antiorario, come misurato dalle forze di Coriolis generate dal movimento terrestre. Le acque calde che scorrevano in direzione nord ovest lungo le coste settentrionali di Gondwana, portavano venti umidi e ritornavano più fredde dall'estremo sud della Laurasia. Le zone interne del supercontinente, isolate dalle montagne, erano desertiche, con estati calde e
inverni freddi. Molto probabilmente entrambi gli emisferi avevano stagioni monsoniche.

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Ecco come si presenta la zona nell'Olocene - Elaborazione grafica Nando Musmarra

Se tutta questa geografia diversa da come noi la concepiamo vi ha confuso, niente paura, torniamo subito con i piedi per terra: quello che ci interessa si trova in un luogo facilmente raggiungibile da voi lettori, si tratta del comprensorio dei monti San Giorgio-Orsa-Pravello, una zona che si estende in Italia, nella parte settentrionale della Val Ceresio, provincia di Varese, e in Svizzera nella parte meridionale del Lago di Lugano. Nel Triassico medio tutta la zona si presentava come un bacino che si estendeva per circa 25 chilometri sul margine settentrionale del mare di Tetide.

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La mia avventura triassica inizia sul versante italiano, con la visita al Museo Civico di Besano ospitato in un grazioso palazzo ticinese. Il museo consta di cinque sale, un laboratorio, e uno spazio video dove viene proiettato un documentario sugli scavi. Nelle vetrine sono conservati fossili meravigliosi che raccontano una storia iniziata circa 235 milioni di anni fa durante il Triassico medio. Il Triassico, in generale, è un periodo geologico molto importante perchè, dopo l'estinzione di massa alla fine del Permiano, terra e oceani videro sparire per sempre molti esseri viventi. Ci vorranno alcuni milioni di anni prima che si ricompongano gli ecosistemi del pianeta. Durante il Triassico apparvero per la prima volta i mammiferi, e i rettili sopravvissuti all'estinzione si diffusero velocemente e si diversificarono. In un clima più caldo e più secco di quello attuale comparvero i primi dinosauri e nuove specie di rettili marini, terrestri e volanti. Nelle acque triassiche nuotavano anche le ammoniti che si estingueranno alla fine del mesozoico con i dinosauri.

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Museo Cantonale di Storia Naturale di Lugano

Nella zona Besano-Monte San Giorgio sono state fatte importanti scoperte a partire dagli scisti bituminosi che sono conosciuti come Scisti Ittiolitici o Scisti Bituminosi di Besano o come Formazione di Besano (nella letteratura geologica in lingua tedesca sono indicati come Grenzbitumenzone, che significa "zona limite bituminosa", proprio perchè posta al limite tra i due piani Anisico e Lanidico del Triassico medio), fino ai sovrastanti Strati di Cava Inferiore, Strati di Cava Superiore, Strati di Cassina e Kalkschieferzone. Sia gli strati italiani che quelli svizzeri hanno preservato incredibili testimonianze di un lontano passato, fossili di rettili e pesci che si sono conservati grazie a condizioni molto particolari. Prima del ritrovamento di questi fossili, gli studiosi ritenevano che gli scisti ittiolitici risalissero al Giurassico inferiore (lias), finchè nel 1854 Emilio Cornalia del Museo Civico di Storia Naturale di Milano pubblicò un lavoro su un nuovo sauro che chiamò Pachypleura edwardsii (recentemente ha cambiato nome in Neusticosaurus edwardsii). In questo studio, per la prima volta, un fossile di Besano veniva considerato anteriore al lias e coevo del muschelkalk e del trias. Nel 1863 il geologo Curioni datò il giacimento come risalente al Triassico superiore. Questo "errore" di qualche milione di anni fu corretto nel 1916 dal geologo svizzero Frauenfelder, che datò la formazione geologica come più vecchia, risalente cioè al Triassico medio. Nel 1863 e nel 1878 ci furono due grandi campagne di scavo guidate da Cornalia e dall'abate Stoppani (quest'ultimo era il direttore della Società Italiana di Scienze Naturali) che portarono al ritrovamento di uno splendido esemplare di ittiosauro, numerosi pesci, ammoniti, bivalve e un esemplare di un ramo in frutto di Voltzia, che è una conifera specificatamente triassica. Nel 1902 iniziò lo sfruttamento industriale degli scisti per ricavare una sostanza simile all'ittiolo che curava le infiammazioni della pelle. La sostanza fu chiamata Saurolo in onore dei tanti fossili di rettile ritrovati nelle cave, che venivano continuamente prelevati dai cavatori e consegnati al museo di Milano.

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Il Saurolo (ammonium sulfosaurolicum) era ottenuto dall'olio greggio derivante dagli scisti bituminosi trattati con acido solforico. Fu utilizzato principalmente come medicamento antisettico nella cura delle malattie della pelle e fu molto usato dai soldati italiani durante le campagne d'Africa - Museo Cantonale di Storia Naturale di Lugano (CH) - Foto di S. Pezzoli

Sul versante svizzero, nel 1924 il professor Bernard Peyer iniziò ricerche sistematiche sul Monte San Giorgio che portarono ad ottimi risultati. Questi scavi proseguono ancora oggi con cadenza annuale, e ogni volta nuove informazioni vengono aggiunte per completare il puzzle del Triassico medio tra Besano e Monte San Giorgio.

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Clarazia schinzi - Museo paleontologico di Meride (CH)

Sembra superfluo sottolineare che studiosi italiani e svizzeri hanno da sempre collaborato scambiandosi sia informazioni che fossili. Questa collaborazione si è rivelata fondamentale, se si considera che nel 1943 un bombardamento distrusse quasi completamente il museo di Milano, e i fossili di Besano che si salvarono furono quelli che erano in prestito al museo di Zurigo!!!
Ma com'era la zona Besano-Monte San Giorgio nel Triassico medio? In quella che oggi è una regione alpina c'era una volta un mare caldo con fondali piatti, costituiti da fanghiglia carbonatica derivata dal disfacimento degli scheletri calcarei e dei gusci delle alghe, dei coralli e dei molluschi. In questo mare, più profondo in alcune zone, c'erano isolotti e vulcani, e il clima era tropicale: l'ambiente, insomma, era simile a quello che si trova oggi nelle Bahamas o nel Golfo Persico (non so voi, ma se avessi una macchina del tempo, trascorrerei le mie vacanze nel Triassico medio!). Gli strati d'acqua superficiali erano ricchi di vita, mentre il fondo era morto: si era creato un bacino eusinico. Questo tipo di ambiente si forma nei bacini chiusi dove, in superficie, c'è una normale circolazione d'acqua e quindi un normale sviluppo della vita, mentre sul fondo c'è assenza totale di ossigenazione a causa della mancanza di correnti e di contatti con il mare aperto. Questa condizione la riscontriamo oggi nel Mar Nero (anticamente chiamato, appunto, Ponto Eusino), e in tante famose Lagerstätte anche di differenti periodi geologici, come, ad esempio, Holzmaden in Germania. Nei bacini eusinici la materia organica in decomposizione si accumula e si deposita sul fondo, sviluppando una forte quantità di idrogeno solforato che, combinato con la mancanza di ossigeno, rende questi strati di acque invivibili. Che si tratti di un bacino eusinico è ulteriormente dimostrato dalla presenza di pirite, minerale che si forma sempre in questo tipo di ambiente, dalla mancanza di fauna bentonica (ovvero gli animali che vivono sul fondo come gli echinodermi e i molluschi) e dalla presenza di molti coproliti, resti fossili molto delicati, che non sopportano un lungo trasporto e, una volta caduti verticalmente, possono preservarsi solo se c'è una totale immobilità dell'acqua. I fossili della zona Besano-Monte San Giorgio hanno una preservazione eccezionale perchè, una volta depositatisi sul fondo di questo antico Mar Morto, non sono stati attaccati dai grandi distruttori biologici come i batteri e i predatori. Occasionalmente, come succede ancora oggi nelle aree tropicali, tempeste e uragani si abbattevano sulla zona e rimuovevano il fango calcareo dai bassi fondali, che successivamente si depositava velocemente nel bacino: in questo modo si formarono quelli che oggi sono gli strati di dolomia.

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Ricostruzione di un cranio di Tanystropheus - Museo paleontologico di Meride (CH)

L'alternanza tra i periodi durante i quali c'era una sedimentazione lenta (che corrispondono oggi ai livelli bituminosi ) e i periodi durante i quali si depositavano i fanghi della piattaforma carbonatica (oggi strati della dolomia) ha dato luogo alla formazione del Triassico medio che ritroviamo nell'area Besano-Monte San Giorgio.La formazione di Besano si presenta con uno spessore medio di circa 12-15 metri e consiste in una alternanza di più di 200 strati dolomitici e strati bituminosi. Questi ultimi presentano idrocarburi di derivazione organica, provenienti cioè dalla decomposizione di organismi viventi sia animali che vegetali. Nei vari strati sono anche presenti due diversi livelli di ceneri vulcaniche eruttate durante il Triassico medio. La misurazione radiometrica ha stabilito che queste ceneri risalgono a circa 232 milioni di anni, e il limite tra Anisico e Ladinico è stato datato a 235 milioni di anni. I fossili più famosi e inusuali della zona Besano-Monte San Giorgio sono i rettili. E' proprio durante il Triassico che i rettili si adattarono a vivere in ambienti diversi dalle terre emerse, nel mare e nell'aria, stabilendo un predominio sui vertebrati che durò per tutto il mesozoico. I rettili del comprensorio dei monti San Giorgio-Orsa-Pravello costituiscono una fauna che comprende generi diversi appartenenti alle sottoclassi dei Diapsidi e degli Euryapsidi. Di alcuni sono stati ritrovati molti esemplari, di altri sono giunte fino a noi solo poche informazioni legate a ritrovamenti occasionali e frammentari. Attraverso le belle e rimodernate vetrine del Museo di Besano, abbiamo la possibilità di guardare alcuni di questi fossili più da vicino.
Il fossile che per primo attira la mia attenzione è il curioso l'Askeptosaurus italicus. Questo nome, che significa "Sauro italiano non riconosciuto", gli fu dato nel 1925 dal barone Franz Von Nopcsa che per primo lo identificò da una lastra molto frammentaria presa in prestito dal museo di Milano. Per avere una ricostruzione più completa, bisognerà arrivare al 1952 quando lo svizzero Emil Kuhn Schnyder studiò questo rettile basandosi su un reperto conservato a Milano. L'Askeptosaurus è un rettile lungo circa due metri, con un corpo lungo e slanciato e una coda lunga che lo rendevano adatto alla vita acquatica. Aveva il cranio allungato, i denti appuntiti da predatore e occhi forniti di un anello osseo che lo proteggevano dagli sbalzi di pressione causati dalle immersioni in acque profonde. Le zampe corte ci informano che si tratta di un animale che non passava molto tempo sulla terraferma, eppure è stato ipotizzato che depositasse le uova all'asciutto, come fanno le tartarughe moderne. L'Askeptosaurus, insieme con la Clarazia e l'Hescheleria (questi ultimi due rettili sono conosciuti da pochissimi ritrovamenti ciascuno e sono entrambi caratterizzati da una dentatura particolare, composta di denti sferici adatti a triturare conchiglie e crostacei) appartiene al gruppo dei Talattosauri, a loro volta imparentati con i Lepidosauri.

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La doppia vita di Tanystropheus - Loana Riboli © 2008

Un altro rettile singolare è il Tanystropheus longobardicus, che è stato per lungo tempo al centro di interpretazioni errate. Questa incomprensione iniziò in Germania, quando nei terreni del Triassico medio furono ritrovate delle ossa isolate molto lunghe, che furono attribuite ad un nuovo animale, il Tanystropheus.

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Le lunghe vertebre di un Tanystropheus tedesco - Staatliches Museum für Naturkunde Stuttgart

Quando però in Italia Francesco Bassani si trovò di fronte al primo esemplare, ritenne che quelle lunghe ossa altro non fossero che falangi di dita eccezionalmente sviluppate, e le confuse come appartenenti ad un rettile volante che chiamò Tribelosodon. Questa ipotesi fu avallata anche dal barone Von Nopcsa, e l'equivoco continuò fino al 1929, quando fu rinvenuto sul Monte San Giorgio un esemplare con le ossa in connessione anatomica, che dimostrava chiaramente che si trattava di vertebre e non di falangi, e che il nuovo animale altri non era che il misterioso Tanystropheus, un rettile tanto affascinante quanto poco conosciuto. E' stato ipotizzato che durante la crescita attraversasse grandi variazioni anatomiche: il collo si allungava e i denti si trasformavano. Aveva il collo molto lungo rispetto al corpo, composto da lunghe vertebre cervicali come nelle giraffe. Secondo alcuni studiosi il Tanystropheus viveva sulla terraferma, secondo altri era un rettile acquatico di ambiente marino costiero che nuotava con movimenti ondulatori del collo e della coda. Per quanto riguarda le dimensioni, gli esemplari completi di Tanystropheus ritrovati fino ad oggi a Besano e Monte San Giorgio non superano i 120 centimetri, anche se i resti di esemplari incompleti suggeriscono animali lunghi anche 4 metri. In Israele e in Spagna sono stati ritrovati fossili di Tanystropheus giganti che arrivano a nove metri di lunghezza.

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Lastra di Tanystropheus longobardicus con radiografia - Museo paleontologico di Meride (CH)


Un fossile davvero interessante esposto al museo è il Ticinosucus ferox. Si tratta di un rettile triassico eccezionale perchè è un arcosauro dell'ordine dei tecodonti. E' considerato un progenitore dei dinosauri, in particolare dei sauropodomorfi. E' un quadrupede con posizione eretta, anche se somiglia più ad un coccodrillo che ad un dinosauro. Aveva il corpo ricoperto da piastre ossee e denti appuntiti da carnivoro. Nel 1965 Bernard Krebs, analizzando le ossa delle mani e dei piedi di questo rettile, affermò che le sue impronte corrispondevano a quelle del genere Chiroterium. Il suo ritrovamento è una lancia spezzata a favore della teoria che vuole nella zona la presenza di terre emerse: il Ticinosucus era senza dubbio un animale terrestre, e gli agenti atmosferici devono aver esercitato una forza notevole per spostare un animale così grande dalla terraferma al bacino dove si è fossilizzato.

 

Ticinosuchus ferox - Museo Cantonale di Storia Naturale di Lugano (CH) - Foto di S. Pezzoli

Museo Cantonale di Storia Naturale di Lugano - Ticinosuchus ferox

I rettili più comuni nei giacimenti della zona Monte San Giorgio-Orsa-Pravello sono i notosauri. Appartengono al superordine Sauropterygia nel quale sono classificati anche i plesiosauri. Anche se più piccoli dei plesiosauri hanno molte caratteristiche anatomiche in comune. I notosauri presenti nei giacimenti appartengono a specie diverse: il Pachypleurosaurus, il Serpianosaurus e tre specie di Neusticosaurus. In generale, i notosauri avevano la forma simile alle lucertole, con collo allungato e zampe palmate.

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Il Neusticosaurus è un fossile molto comune nei livelli triassici di Besano-Monte San Giorgio - Museo Paleontologico di Meride (CH)

E' stato ipotizzato che le differenze anatomiche fra i due sessi non fossero evidenti nella fase giovanile; sembra però che, crescendo, le femmine sviluppassero gli arti anteriori, che diventavano più robusti, forse per la necessità di risalire le spiagge durante la deposizione delle uova. Si tratta di animali essenzialmente acquatici, anche se la loro vita doveva svolgersi vicino alla superficie, poichè la conformazione del loro orecchio non gli permetteva di sopportare l'alta pressione in profondità. Un'altra caratteristica di questi rettili è la pachiostosi, ovvero l'irrobustimento delle ossa tipico dei vertebrati marini poco veloci nel nuoto, come i sirenidi. I piccoli denti aguzzi ci indicano che erano carnivori, probabilmente si cibavano di piccoli invertebrati come cefalopodi o pesciolini. Purtroppo (per loro!) diventavano a loro volta desiderato spuntino per i notosauri di dimensioni maggiori come i Ceresiosauri: infatti nei coproliti fossili di questi rettili sono state trovati i resti delle ossa dei neusticosauri.

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Ceresiosaurus calcagnii - Museo paleontologico di Meride (CH)

Animali caratteristici del Triassico sono i placodonti, che si caratterizzano per la particolare dentatura con la funzione di uno schiaccianoci: i denti piatti e tondi erano fatti per cibarsi di un cibo "duro", rompevano le conchiglie e ne mangiavano l'interno. Da qui si deduce che piuttosto che nel bacino chiuso, vivevano sulla scogliera, dove, appunto, trovavano il loro cibo preferito. Sono state ritrovate diverse specie di placodonti (Cyamodus hildegardis, Paraplacodus broilii e Helveticosaurus zollingeri) e ognuna era corazzata in modo diverso.
Simili ai moderni delfini, gli ittioterigi erano rettili marini così perfezionati per la vita nell'acqua che la loro struttura anatomica era profondamente modificata, tanto che non uscivano dall'acqua neppure per deporre le uova. Avevano la forma del corpo idrodinamica, più simile ad uno squalo che ad un rettile. Al posto degli arti erano dotati di pinne a forma di pala formate da numerose falangi. Le mascelle appuntite erano fornite di denti aguzzi. Grazie ai ritrovamenti fossili del contenuto del loro stomaco, sappiamo che si cibavano soprattutto di cefalopodi. Gli occhi erano grandi e protetti da un anello formato da piastre ossee, che permetteva all'ittioterigio di resistere all'aumento di pressione durante le immersioni. Grazie agli esemplari ritrovati ad Holzmaden in Germania, sappiamo che gli ittiosauri erano ovovivipari, quindi i piccoli erano partoriti vivi, come nei mammiferi, e non in un uovo come nei rettili. Gli ittioterigi più primitivi sono i mixosauri, e sono anche il genere più comune ritrovato nella Formazione di Besano. Contrariamente agli ittiosauri più evoluti, avevano la coda diritta, mancante della caratteristica pinna caudale. Quali ottimi nuotatori in mare aperto erano forse la specie che meglio riusciva a resistere in un ambiente che permetteva la vita solo negli strati marini più superficiali.

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L'eroico Sergio alle prese con lo scisto che brucia. - Foto di P. D'Agostino

Alla famiglia degli Shastasauri, cui appartengono gli ittiosauri di grandi dimensioni, appartiene il Besanosaurus, pezzo forte del museo, ritrovato nel 1993 a Sasso Caldo dai volontari del gruppo di Besano. Il fossile esposto è un calco di un esemplare eccezionale, unico al mondo, di un nuovo genere e di una nuova specie (Besanosaurus leptorhincus). Lo scheletro è lungo 580 centimetri e si tratta, senza dubbio alcuno, di una femmina: è gravida, e conserva i fossili di alcuni embrioni. Il lavoro per la preparazione di questo fossile è stato lunghissimo: un anno per estrarlo dal giacimento, un altro per consolidarlo e quattro anni per prepararlo. I fossili più abbondanti negli scisti, appunto, ittiolitici, sono i pesci. Ne sono stati trovati così tanti da formare importanti collezioni in molti musei. Si tratta di fossili particolarmente interessanti, perchè durante il Triassico i pesci avevano già percorso il lungo cammino evolutivo che partiva dal Devoniano. Nella loro varietà di forme sono testimoni del passaggio da una fauna primitiva ad un'altra più evoluta, visibile nella struttura ossea del cranio, della colonna vertebrale e delle pinne. Sono stati ritrovati sia pesci cartilaginei, i Condritti, che quelli ossei, gli Osteitti.

 

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Arti anteriori di rettili. A) numero primitivo di falangi; B) mixosauro; C) ittiosauro - Museo paleontologico di Meride (CH) - Foto N. Musmarra

Tra gli Osteitti si contano 21 specie, inclusi i Celacanti (i "fossili viventi" dalla caratteristica dentatura che ancora nuotano nelle profonde acque del Mozambico). Molto interessanti per i paleontologi sono i pesci "esplosi", cioè quei fossili che si sono conservati dopo l'esplosione della vescica natatoria, poichè possono essere letti come tavole di anatomia. Per quanto riguarda i Condritti, parenti degli attuali squali e razze, i resti sono meno completi perchè lo scheletro cartilagineo si decompone più facilmente, e si conservano principalmente i denti e le spine. Oltre a questi fossili assolutamente "unici", le vetrine del museo di Besano informano anche sugli invertebrati trovati nel giacimento, fossili meno "vistosi", ma non meno importanti, che si trovano soprattutto nei livelli di dolomia. Numerosissimi sono i resti di lamellibranchi del genere Daonella. Molto comuni sono le ammoniti, ottimi indicatori cronologici, che consentono cioè di correlare le varie formazioni geologiche che portano alla datazione dei giacimenti. La durata media di una specie di un'ammonite guida è di 700.000 anni circa, e per rocce che hanno più di 230 milioni di anni le informazioni fornite da un'ammonite sono fondamentali: è come se all'interno dei singoli strati si trovasse un orologio che si è fermato nel momento in cui si è depositata la roccia. Anche grazie allo studio delle ammoniti guida, gli studiosi hanno assegnato gli scisti ittiolitici di Besano al Triassico medio, e precisamente ai piani Anisico e Ladinico. Altri invertebrati rinvenuti sono i gasteropodi cerizidi, che vivono in acque salmastre e ci informano sulla salinità dell'area in questione, che era minore di quella marina; pochi ricci di mare, belemniti, crostacei, e un unico invertebrato terrestre, uno scorpione. Nei coproliti dei predatori sono stati ritrovati resti degli estinti Tilacocefali, crostacei che, probabilmente, si nutrivano delle carogne che si trovavano sul fondo del bacino Da non sottovalutare, sono le informazioni che ci giungono dalla paleobotanica. Nel 1878 Ferdinando Sordelli pubblicò un lavoro sulle piante presenti nella zona Besano-Monte San Giorgio, fino ad allora mai studiate. Si tratta soprattutto di parti di Voltzia, una conifera simile alle moderne araucarie.

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Un bell'esemplare di Voltzia - Museo paleontologico di Meride (CH)

Le conifere sono praticamente l'unica pianta "terrestre" presente, se si esclude una singola foglia di un'antenata dell'attuale Gingko biloba e alcuni resti di piante non ancora identificate. Altri resti vegetali sono rappresentati dalle alghe della famiglia delle Dasycladaceae, molto interessanti perchè possedevano uno scheletro calcareo, ed ebbero la funzione di costruire le scogliere così come fanno oggi i coralli. Le piante sono essenziali per ricostruire il paleoambiente della zona durante Triassico medio

 

Besano32.jpgTerminata la visita al Museo di Besano, prima di continuare il mio viaggio nel Triassico medio sul versante svizzero, mi sono "trasferita" indietro nel tempo, in un altro periodo geologico...senza usare nessun marchingegno simile al teletrasporto di "Ritorno al futuro", ma guidando una comune automobile. Il luogo in questione è la Cava Bonomi di Cuasso, a pochi chilometri da Besano, dalla quale si estrae il porfido rosso che risale al Permiano, più o meno 275 milioni di anni fa. Per dovere di cronaca, va detto che Besano e Cuasso hanno avuto una storia parallela con quella della città di Milano. L'utilizzazione degli scisti bituminosi di Besano avrebbe (poichè, per la fortuna dei paleontologi non se ne fece più nulla) dovuto fornire idrocaburi per produrre l'illuminazione a gas, mentre i cubetti di porfido delle strade milanesi (ma anche di vari paesi della provincia di Varese), da sempre provengono da Cuasso. La Cava Bonomi da più di 50 anni estrae e lavora il porfido utilizzato come pietra ornamentale e da costruzione che, tecnicamente, si chiama Granofiro. Si tratta di una roccia magmatica ipoabissale unica al mondo per colore e caratteristiche fisico-meccaniche, composta da K-feldspato, quarzo e biotite in quantità minore. Il giorno della mia visita era programmata una esplosione, la più potente da molti anni a questa parte. Per assistere all'esplosione "permiana", per motivi di sicurezza, sono entrata insieme a un folto gruppo di persone all'interno di un capannone. Al momento stabilito, il costone roccioso e' esploso, e tutti gli spettatori, inclusa la sottoscritta, hanno sperimentano la percezione di una leggera scossa sismica. L'esplosione ha mosso 5.000 metri cubi di materiale...abbastanza per rivestire le strade della zona per un bel pò di tempo!

 

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La paleontologa Paola D'Agostino con il fido Darwin (quello biondo)

Dopo aver assistito all'esplosione ho ripreso il mio viaggio nel Triassico medio, questa volta per vedere i fossili nel loro habitat naturale. Poichè gli scavi italiani sono momentaneamente chiusi (negli ultimi anni ci sono state due importanti campagne di ricerca, a Rio Ponticelli dal 1975 al 1985 e a Sasso Caldo dal 1985) sono andata sul versante svizzero, dove è aperto lo scavo di Cassina che prende il nome dalla formazione omonima. La mia visita è stata guidata da un gruppo di volontari capitanati dalla paleontologa Paola D'Agostino.

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Passato il confine con la Svizzera siamo arrivati al piccolo parcheggio del cimitero della città di Meride. Da qui è cominciata la salita lungo il sentiero naturalistico del San Giorgio: dal parcheggio al sito di scavo ci sono 360 metri di dislivello, si impieg a circa un'ora. E' uno di quei momenti in cui mi rendo conto che avrei bisogno di tornare a fare ginnastica. Il silenzio era interrotto solo dal mio fiatone. Lontano, il clacson del postale, l'autobus che trasporta posta e passeggeri nelle zone alpine della Svizzera dove i treni non arrivano, strombazzava ad ogni curva. Gli svizzeri che ho incontrato sul sentiero non mostravano invece il minimo segno di cedimento...sarà che loro andavano in discesa!

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L'occhio di un profano in questa foto vedrà soltanto una lastra frammentata...

 

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... l'occhio esperto di Urs Oberli, invece, vede il tesoro che nasconde: un Saurychthys, pesce dal muso appuntito.

 

Alla fine della salita, la fatica è stata ricompensata : appena arrivati allo scavo abbiamo assistito al ritrovamento di un Saurichthys, un pesce triassico con il muso appuntito. Il gruppo di scavo era composto da Rudolf Stockar, geologo e conservatore di Paleontologia del Museo Cantonale di Storia Naturale di Lugano, Urs Oberli, eccezionale preparatore ed instancabile scavatore di San Gallo, studenti tedeschi dell'Università di Bonn e alcuni volontari italiani e ticinesi.

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Alla fine del periodo di scavo, che è durato dall'11 settembre al 7 ottobre 2006, sono stati ritrovati i seguenti fossili: una lastra con ossa sparse di rettile, un grosso dente di rettile, 27 Saurichthys di cui alcuni incompleti, 8 pesci, varie piante ed alghe. Una volta portati i fossili al Museo Cantonale di Storia Naturale di Lugano, sono cominciate le operazioni di pulitura e analisi del materiale, ed i risultati di questo scavo saranno oggetto di altro articolo su Fossili Veraci... molte volte, i migliori ritrovamenti avvengono nei laboratori e nei cassetti dei musei!

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Rudolf Stockar, geologo e conservatore di Paleontologia del Museo Cantonale di Storia Naturale di Lugano


Tornata a valle, ho visitato il bellissimo Museo di Meride, composto da un'unica grande sala che conserva sia fossili originali che copie dei celebri rettili che hanno reso la zona famosa in tutto il mondo, tanto che nel 2003 il Monte San Giorgio è stato incluso nel Patrimonio Mondiale dell'Unesco.

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Mixosaurus cornalianus italicus - Museo paleontologico di Meride (CH)
Considerando che nel Triassico medio il mare non aveva frontiere, gli esemplari esposti al museo svizzero sono la medesima fauna fossile di quella in mostra al museo di Besano (ittiosauri, notosauri, un Tanystropheus, pesci, etc...) non mancano interessanti esempi di invertebrati come diverse specie di ammoniti e di piante. Uscendo dal museo, mi sono accorta che la giornata stava volgendo al termine. Il mio tempo nel Triassico medio era scaduto, era arrivato il momento di tornare nel mio periodo geologico di residenza abituale. Dal finestrino dell'automobile che mi riportava in Italia scorrerevano incantevoli paesaggi montani. A Porto Ceresio, le belle case si riflettevano nelle acque calme del lago di Lugano. Arrivati a destinazione, per cena mi è stato suggerito un ottimo agriturismo. Aldilà dei fossili, questa parte di Italia è proprio bella, e anche se i notosauri non nuotano più da queste parti, guardandomi intorno e assaporando le delizie gastronomiche locali non posso far a meno di pensare che il nostro Olocene, come periodo geologico, non è affatto male!!!

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L'autore desidera ringraziare il Museo paleontologico di Meride e Rudolf Stockar del Museo Cantonale di Storia Naturale di Lugano di Lugano per l'autorizzazione alla pubblicazione delle fotografie. Desidera inoltre ringraziare Paola D'Agostino e Sergio Pezzoli per l'aiuto logistico, a Besano come a Meride, e il fido Darwin, guida ineguagliabile. Un grazie particolare a Loana Riboli per aver arricchito l'articolo con la magnifica interpretazione della "Doppia vita di Tanystropheus"

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Wink La prova inequivocabile che Tanystropheus si adattava alla terraferma? Wink

Diana Fattori © 2001-2008